Eccoci giunti all’ultimo! Questo l’ho conservato proprio per il giorno giusto.
Un tributo a una parte del mondo reale e fantastico che amo molto insieme a quello indiano. Ma esattamente all’opposto. E mi piace coltivare entrambe le possibilità come mi piace esplorare nuove forme di espressione e scrittura. A tal proposito sto partecipando anch’io a un contest. Trovate notizie dettagliate qui se volete cimentarvi. Grazie a Juuhachi_go per l’idea e l’opportunità.
Ma torniamo a noi. Ecco l’ultimo fiocco. Vi lascio in aggiunta il mio racconto.

Lo scudo
Gudrog si svegliò. Sentiva l’umidità venire dal mare. Le sue vecchie ossa la sentivano molto più di lui. Si mise seduto. Si stiracchiò facendo schioccare collo e schiena. Si alzò e anche i piedi per i primi tre passi emisero una sinfonia di scoppiettanti scricchiolii. Si diresse a tentoni alla porta e l’aprì. Una lieve foschia velava la vista del fiordo illuminato dalla luce incerta della primavera. Aveva costruito questo capanno al limitare della scogliera sul punto più alto per vedere ogni giorno il mare. I tempi delle avventure e delle razzie erano ormai terminate per lui ma da lì poteva vedere le navi partire e lasciare che il suo spirito partisse con loro. Si sciacquò la faccia con l’acqua che aveva raccolto la sera prima al ruscello. Rientrò lasciando la porta spalancata, non c’erano finestre, non servivano, usava il capanno solo per dormire. Da un piccolo tavolo sulla destra prese del pane che teneva avvolto in un panno perché non seccasse troppo in fretta. Era gommoso e era quasi finito. Sarebbe dovuto scendere al villaggio. Fjarora. Lo vedeva da li. Al bordo del mare. Quando aveva scelto quel punto aveva anche promesso che avrebbe fatto da vedetta per quanto i suoi occhi ancora gli permettevano. Tornò fuori e accese il fuoco nel cerchio di massi che gli facevano da focolare. Lì accanto teneva rami freschi e foglie che sarebbero serviti a creare un segnale col loro fumo se avesse avvistato qualcosa.
Si era buttato sulle spalle il suo mantello di pelliccia e si diresse lungo il sentiero. Dopo cinque minuti era arrivato al recinto. Le pecore lo aspettavano affamate. Belavano nervose in attesa di uscire. Sollevò il pezzo di legno e spinse avanti il cancello, una ad una cominciarono ad avviarsi verso il ruscello, la loro prima tappa come ogni mattina. Gudrog si guardò attorno. Dove si era nascosta Miolnir? Era la pecora più testarda del mondo, ostile e ribelle. Ogni mattina gli piombava addosso e lo colpiva a testate. Lo aveva sempre fatto fin da piccola. Con la sua testa colpiva le compagne, colpiva lui, colpiva anche gli alberi se per qualche motivo li riteneva ostili. Gudrog pensava che la madre si fosse accoppiata con un montone di montagna e fosse poi tornata per partorire quella pecora selvaggia. Martellava tutto a capocciate e per questo l’aveva chiamata Miolnir come il martello del dio Thor. Mentre si guardava attorno sentì il rumore di una corsa indiavolata fece appena in tempo a spostarsi per schivare il colpo e lasciare che la pecora si abbattesse sul palo del recinto. Restò come al solito qualche minuto confusa poi lo guardò astiosa e seguì le compagne verso il ruscello. Gudrog sorrise, con il suo caratteraccio lo faceva sentire meno solo nei periodi del pascolo.
Mentre il gregge si abbeverava si sedette su una pietra era ormai un anziano vichingo, non era morto in battaglia ma non se ne dispiaceva più di tanto, gli piaceva vivere e gli dei amavano i guerrieri e i martiri ma amavano anche la vita e forse lo avrebbero ammesso lo stesso al Valhalla. Lui era stato un grande guerriero ma ora amava contemplare la sua terra. Il ruscello scorreva ai piedi di una collina. Gudrog si stava godendo il tepore del sole ora che il cielo era sgombro, quando il suo sguardo si posò su una luce proveniente dalla cima, non era un fuoco, era come un sole accecante. Si alzò e cominciò ad arrampicarsi lungo il crinale. Miolnir lo seguiva, a volte aveva l’impressione che lo volesse uccidere altre che fosse stata messa lì dagli dei per proteggerlo. Faticò per una decina di minuti. Quando fu a qualche passo dalla luce che aveva visto si fermò, era meglio essere prudenti. Gli dei non sempre amavano che gli umani si immischiassero dei loro affari. Accanto ad un masso si trovava uno scudo. Appoggiato lì come dimenticato Era uno scudo antico in legno, i profili in metallo avevano riflesso la luce del sole. Gudrog si guardò attorno non avrebbe mai toccato le armi di un altro guerriero.
«Ehi c’è qualcuno?».
«Beeeee».
«Non parlavo con te Miolnir» scosse la testa, alzò un po’ la voce. «C’è qualcuno?».
Un tuono rispose lontano. Il cielo era terso. Gli dei lo stavano guardando. Si avvicinò e lo girò era uno scudo molto bello in pioppo leggero ma resistente, il rinforzo al centro era in metallo decorato e sul davanti due lupi si guardavano, erano i fratelli Magarm e Skoll. Fece un passo indietro lui conosceva quello scudo gliene aveva parlato suo nonno in giorni passati da ormai troppo tempo, ma non poteva dimenticare le storie del leggendario re Thorbrand Ansson e del suo scudo invincibile. Lo aveva posato nuovamente sul masso per osservarlo meglio quando un rumore fin troppo noto lo fece voltare. Miolnir aveva preso la rincorsa e stava per colpire. Gudrog fece due passi indietro, non poteva intromettersi in quello scontro fra forze della natura.
Fu uno schianto tremendo Miolnir fu sbalzata a una decina di metri di distanza. Lo scudo non si era mosso di un millimetro. Il vecchio vichingo corse verso la sua pecora. Era viva. Forse davvero Miolnir era un dono o uno scherzo degli dei. La pecora muoveva la testa a destra e a sinistra. Gudrog la accarezzava piano. Le sorrise «ti capisco lo avrei fatto anche io al tuo posto, non esiste una sfida che un vichingo non accetti e tu Miolnir sei una pecora vichinga».
Si caricò la pecora in spalla e ritornò allo scudo. Se gli dei avevano voluto che lo trovasse lo doveva prendere. Posò a terra Miolnir che si era ripresa ma evitava accuratamente di guardare nella sua direzione forse per non sentirsi costretta ad un nuovo tentativo. Gudrog si tolse il mantello e vi avvolse lo scudo.
Radunò il gregge. Avrebbe comunque dovuto scendere al villaggio nei prossimi giorni, lo avrebbe fatto subito. Portò le pecore in una piccola valle chiusa riparata intorno da rocce non facili da scalare. Quando era costretto ad andare a procurarsi del cibo le portava lì, sapeva che non si sarebbero allontanate fino al suo ritorno. Tutte tranne Miolnir che come ogni volta lo avrebbe lo compagnato.
Chiuse il capanno e diede un ultimo sguardo al mare. Qualcosa attirò la sua attenzione. Un piccolo gruppo di navi si avvicinavano da Est. Gettò un mucchio di foglie sul fuoco e presto una densa colonna di fumo si alzò nel cielo. Da Fjarora un’altra colonna si sollevò in risposta al suo segnale.
Cominciò a scendere a valle. Gli ci volle mezza giornata. Quando Fu quasi arrivato le navi che aveva visto all’orizzonte erano ormai riconoscibili sulla vela più grande un enorme orchidea color ambra. Erano le navi rimaste bloccate dall’inverno prima di poter fare ritorno dalle razzie. Sul molo le donne aspettavano di scoprire quali uomini erano riusciti a tornare e quali invece non avrebbero più rivisto il fiordo dove erano nati.
Gudrog si avviò verso la casa lunga al centro del villaggio. Lo scudo in spalla ancora avvolto dal suo mantello. Miolnir lo seguiva con l’andatura orgogliosa di chi conosce il proprio valore. Gudrog doveva solo fare attenzione che non attaccasse briga con nessuno per evitarle di far da cena a qualcuno come gesto riparatore.
I guerrieri erano scesi dalle navi fra le acclamazioni dei bambini e a loro volta si erano diretti alla casa lunga per presentare il frutto delle loro razzie e raccontare le storie del loro viaggio. Il bottino era stato molto ricco e re Torsten era felice aveva fatto preparare un banchetto in onore dei suoi valorosi uomini. Vide Gudrog in fondo alla sala e gli fece segno. Il vecchio vichingo si avvicinò al suo re seguito dalla sua pecora.
«Gudrog vecchio mio, sei sceso giusto in tempo per festeggiare amico.» Erano stati compagni di battaglia da giovani e anche se avevano vite molto diverse c’era affetto e rispetto fra loro tanto che il re tollerava la presenza di Miolnir alla sua corte e bontà sua anche la pecora tollerava il re tanto da non aver mai preso a testate niente e nessuno alla sua presenza. «Ti mancano le razzie e i bottini? O sei ormai troppo vecchio anche solo per provare un pizzico d’invidia?»
«Lo sai quanto me quanto possono mancare le razzie ad un guerriero ma questa volta anche io ti porto un bottino mio re». Gudrog posò a terra il fagotto che portava ancora sulle spalle. Lasciò che gli altri si avvicinassero incuriositi poi con delicatezza apri i lembi del mantello di pelliccia mostrando lo scudo.
«Per gli dei! È quello che penso?»
«Lo è re Torsen, gli dei lo hanno portato a me. Io lo porto a te perché possa ancora proteggere le nostre terre dagli attacchi dei nostri nemici.» Un forte tuono risuono nel cielo. Gli dei avevano espresso la loro approvazione.
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Laura…Grazie, ero lì insieme a Gudrog e Miolnir. Davvero un bel racconto 🙂
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