A due mesi dall’inizio del mio corso di specializzazione vorrei condividere qualche riflessione con voi. Ricordo che una delle parole che sentii quasi subito, al primo seminario, fu destrutturare.
E di seguito, poi, decostruire; due sinonimi in fondo.Ne sono rimasta colpita soprattutto rispetto all’accezione che ne veniva data. In sostanza in ogni corso, in ogni laboratorio frequentato, ci viene richiesto primariamente di utilizzare altre visioni, altre chiavi di lettura con la finalità chiara di essere obiettive sul campo e poter, in futuro, avviare un cambiamento. Come se tutto il bagaglio, in termini di sapere accademico ed esperienza, possano servire solo, in modo prioritario, se li analizziamo in modo critico e costruttivo…Insomma ciò che è stato imparato e assimilato (e direi provato e rivisto negli aggiustamenti reali) potrà funzionare meglio se andiamo a togliere il superfluo. Cambiamo un po’ gli abiti, quelli stretti o troppo larghi, è meglio lasciarli da parte e concentrarci ed eventualmente adattarci, a quelli che riusciamo a calzare meglio. E ora viene il bello; provare a calzare meglio, stando accorti, a non rompere troppo i tagli d’abito di altri e altre. Fuor di metafora,senza andare a scombinare troppo, almeno per il momento, gli usi e i costumi in essere.
Una condizione che mi piacerà cercare e applicare.

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Dopo questa condivisione pedagogica vi lascio alla lettura del pezzo mancante al racconto iniziato qualche giorno fa. Buona lettura!
Durante la pausa della lezione si avvia verso il cortile ; una delle sue mele, frutto degli alberi delle colline, vien divorata in un momento. Si ricorda dell’anello, il torsolo sulla destra, lo sfila dalla tasca con l’altra mano. Lo osserva di nuovo, era proprio un po’ schiacciato, ma recuperabile. E così fa, lo comprime lentamente e con vigore, non vuole correre il rischio di sformarlo. Ci lavora con attenzione, ora è indossabile. Anulare mano destra e via di nuovo in aula, senza correre.
Prende appunti ma ogni tanto si blocca; le macina in testa lo stesso interrogativo. Di chi poteva essere e soprattutto come era finito lì ? Tocca l’anello lo fa scorrere nel dito, le è leggermente grande, ma non l’avrebbe perso. Ecco, qualcuno poteva averlo perso. Decide di smettere per il momento di pensarci, del resto doveva scrivere, gli appunti sulla lezione sarebbero serviti.
Ancora due ore e poi di nuovo metrò, treno e casa. Lia non si accorge di un sguardo indagatore alle sue spalle. È l’anello l’ oggetto di attenzione di due occhi neri coperti da una sottile frangia castano chiara. Lia non avrebbe potuto vedere l’espressione di sgomento e sorpresa che affioravano sul volto di quella persona. Non vedeva neanche le mani che lasciavano la penna cadere sui fogli del quaderno e stringersi a pugno; era due fila dietro di lei e osservava quella forma intrecciata sul dito di Lia. Doveva uscire da, lì , le mancava,l’ aria. Fu precipitosa e creò scompiglio; due vicine di fila si alzarono sbattendo le sedie a ribalta. E mentre dava una più attenta occhiata all’oggetto che l’ aveva fatta trasalire Lia si girò con un’ aria scocciata verso chi stava facendo tutto quel rumore. Non fu un caso, i loro occhi si incrociarono; poi fu un attimo, quella persona, senza alcun timore, con sfrontatezza, appoggiò la mano destra su quella di Lia e provò a sfilarle l’ anello. Lia d’istinto serrò la mano a pugno. Le uscì di bocca un mezzo grugnito: -”Eiii”, si ricordò della lezione in corso e tacque subito inseguendo chi l’ aveva toccata.
Una breve rampa di scale; eccole fuori dalla porta d’entrata sotto un portico. “Scusa, cosa succede?”-domandò Lia alla persona che le dava le spalle. Lei si girò nella sua altezza e magrezza insieme. Queste le prime cose che Lia notò oltre agli occhi lucidi. Aveva un viso ovale reso ancora più lungo dai capelli che le arrivavano oltre le spalle. Con il viso teso accennò a parlare: “Scusami, non volevo essere scortese…Ma ho visto l’anello e non ho capito più nulla. Era il mio. L’avevo buttato via qualche giorno fa quando venni a depositare alcuni documenti in università. Credevo di averlo schiacciato, annullato per bene, tra le piastrelle. A quanto pare non abbastanza”.
Lia se lo sfilò e senza dire nulla glielo porse. “No, non lo voglio, non mi appartiene più, come non è più mia la persona che me lo regalò”. Prima di parlare Lia analizzò in un momento le parole sentite; qualcosa non era andato come si desiderava e ora c’era una gran rabbia e delusione. Accennò a un mezzo sorriso: ”Mi dispiace. Vorrei solo dirti una cosa pur non conoscendoti. L’appartenenza è una condizione difficile da mantenere. Forse desideravi davvero tanto avere questo. Credo tu conosca la nuova possibilità data da tempo, ai nostri mondi, di poter pensare e condividere gli affetti, anche a livello logistico e materiale. Insomma si può parlare e vivere liberamente in “triade” senza essere giudicati o guardati in modo strano dalla morale, che un tempo era dei molti. Forse non ti riferisci a questo, forse si tratta solo di una rottura, mi sentivo di dirtelo”.
“Eh si la morale dei molti…E questa condivisione comoda! Io non la volevo. Io pensavo solo di aver trovato almeno una persona con cui stare, magari non vivere, ma stare. In ogni caso era uno stato non del tutto condivisibile per me. Cercavo una scelta, l’esclusività. E non l’ho avuta. Ma basta, non ne voglio parlare. Comunque quell’anello all’inizio era una sorta di promessa…Pur avendo tre cerchi, perché tale era la realtà, io, lui e la sua famiglia e sua moglie a fianco, poi un cerchio si sarebbe sciolto. A questo tendevo. E così è accaduto. Ma non come mi ero immaginata. Andiamo adesso, la lezione sta continuando”. Lia rimase un attimo lì, guardava l’anello, non sapeva cosa fare. Pur facendolo scorrere tra le dita ora lo sentiva più pesante. Corse dentro l’aula e si concentrò
Ci avrebbe pensato più tardi.
E più tardi dovette correre. Fuori dalla porta d’ingresso come un fiume si accorse che non era la sola a precipitarsi. In tante, tenendo borse da un lato, aggrappate agli zaini dall’altro, con le tasche davanti pronte a far vidimare velocemente la tessera da viaggio, lì contenuta. Semafori, strisce pedonali rispettate per quanto possibile. Il punto fondamentale era la sincronia di tutto. Lia ancora non la conosceva bene, sapeva solo che non voleva rischiare di perdere il primo treno possibile. Ultimo metrò, mancavano 4 minuti. La donna truccata e bellissima del tabellone annunciava la partenza dai vari binari mobili. Ecco il suo; esattamente dal lato opposto in cui si trovava ora. Ci provò. Scansò a fatica i passanti sperando di non urtare nessuno. Arrivò sul binario n° 41, in fondo a fine della stazione. Vide il treno accendere le luci, alzarsi quanto bastava per prendere la direzione. Troppo tardi. Questa volta l’aveva perso. “Respira- si disse- studierai un modo per un corsa perfetta in orario. Dovrà essere così!”

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